venerdì 21 giugno 2013

Ian Davenport: La gravità del colore



La mostra “Reflex”, a cura di Luca Massimo Barbero, tenutasi da Giacomo Guidi Arte Contemporanea – Roma, dal 10 Ottobre al 24 Novembre 2012, consente di riprendere alcune riflessioni e considerazioni a proposito di Ian Davenport (Kent, 1966), ex enfant prodige della Young British Artists generation e oggi maestro della nuova corrente astrattista.


Cresciuto alla “scuola” di Motherwell, Barnett Newman, Rothko, scandisce la perfetta sintesi di simboli e visioni, riorganizzandoli all’interno delle sue opere e, partendo dai White Paintings di Robert Rauschenberg, evolve verso organici flussi di colore manifestati con un travolgente ritmo in cui è centrale la gravità e la forza degli elementi cromatici.

Le sue opere, nella loro essenza, si caratterizzano per una forte modernità e innovazione, anche se recano un evidente legame con la tradizione della pittura, in cui ogni linea, ogni pennellata di luce contiene forti riferimenti alla stagione delle grandi “impressioni”.

Nella mostra romana, Davenport, oltre ai suoi classici Puddle Paintings, ha realizzato un interessante wall drawing in cui sintetizza i colori e li ripropone, con la proverbiale abilità espressiva, nel contesto di un site specific.

Le sue elaborazioni pittoriche sono sempre in continua ricerca di specifiche tecniche che esaltino il senso ultimo delle vibrazioni, delle emozioni, del rapporto con la luce e il movimento come misura del sé contemporaneo.

Afferma, infatti, che “ è importante mettere continuamente in discussione anche le certezze del passato ” .

Per creare le sue opere utilizza materiali e strumenti di ricerca alternativi, apparentemente improbabili, ma che gli permettano di pensare in modo nuovo alla sua stessa creatività:

Siringhe, ventilatori, annaffiatoi, spille e chiodi.

E’ una continua lotta con il mezzo e il materiale, chiedendosi costantemente: “cosa succederebbe se creassi un dipinto senza usare il pennello? E se invece di utilizzare la tela, scegliessi qualcosa di diverso? Fino a quanto si può sperimentare?”.

Il suo atteggiamento è mutuato dalla convinzione che ogni espressione artistica contemporanea debba dare significato di sé soprattutto attraverso un uso appropriato della ricerca dei linguaggi che sappia meglio identificare il bisogno di rappresentare l’identità dell’artista.

Egli afferma che il suo modo di operare è molto vicino a quello dello scultore e del performer,

nel momento in cui sceglie il materiale su cui far scorrere, colare il colore. Le piastre metalliche, normalmente usate come supporto, sono superfici che devono permettere un dinamico movimento finale del colore e, allo stesso tempo, devono coagulare la consistenza cromatica, la vibrazione e la profondità della luce.

Osservando le sue opere non possiamo pensare che tutto poggi sulla tecnica e sull’estetica visiva; in realtà, la sua fonte ispirativa principale proviene dallo studio di complessi elementi visivi, come gli affreschi della tradizione medievale italiana e una continua osservazione dei simboli della cultura popolare.

Sono fonti irrinunciabili a cui attinge a piene mani, per sua esplicita ammissione, colpito sempre dall’immediatezza espressiva dei dipinti su pareti dei grandi maestri, come il Giotto della Cappella degli Scrovegni di Padova.

Il suo è sempre un lavoro che si sviluppa attraverso la dialettica visiva di forze controllate (lo scorrere manuale del pennello o della siringa) e l’espressione dell’azione incontrollata

( ventilatore o innaffiatoio ).

La presenza autorevole di Ian Davenport nello scenario internazionale del sistema dell’arte è un altissimo esempio che dimostra come la pittura sia un linguaggio complesso e affascinante che dimostra come sia assurdo oggi parlare della sua “morte”.


di Pino Bonanno



Ian Davenport: La gravità del colore

Pier Toffoletti: Cromie e contrappunti



di Vittorio Sgarbi


Con Pier Toffoletti si può parlare di una pittura che sembra provenire da un affresco antico, eseguito sul fondo di un muro che ha subito l’ingiuria del tempo, e dove oramai il testo pittorico è andato in parte perduto, lasciando aperto un enigma indecifrabile. Il modo di procedere di questo artista è in parte mentale e in parte onirico. A volte l’immagine campeggia come su una scena, altre volte pare al contrario tendere a scomparire completamente, lasciando solo un’ombra che lascia intravedere ancora dei segnali, altre volte ancora appaiono figure nude di uomo o di donna, compenetrate in una loro arcana sacralità. In queste scenografie, le posture armoniche dei corpi hanno un non so che di misterioso nella qualità emblematica dei gesti, come assorte in un languore casto, o come se fossero evocazioni decorative che alludono a qualcosa di precariamente reale. Artista di scuola, Toffoletti ha scelto di applicarsi a una tecnica mista, grazie alla quale le sue opere giocano sugli elementi usati dagli antichi affrescatori. Egli applica a supporti lignei la polvere di marmo, gli ossidi e le sabbie in un gioco alchemico quanto mai personale. Prima però li impasta utilizzando collanti per ottenere la base materica su cui poi intervenire per realizzare graffiti, rilievi, incisioni; quindi procede all’applicazione dei colori acrilici, realizzando cromie e contrappunti che rilevano la composizione, conferendole vibrazioni del tutto insolite. Nella sua inquietudine, tuttavia, non si accontenta ancora di questa elaborazione materica, e sul suo complesso assemblaggio interviene ancora successivamente con la pittura ad olio. È dunque innegabile il fatto che Pier Toffoletti, maestro veneto di Udine, abbia scelto di vivere la sua arte nel segno nostalgico dell’ammirazione per la pittura del passato. Ma è necessario distinguere tra chi guarda gli antichi maestri dell’affresco copiandone pedestremente gli stilemi e chi, come Toffoletti, gioca in chiave totalmente originale e autonoma dai modelli stilistici che si è scelto. L‘intelligenza poetica di questo artista evita infatti qualunque tentazione esornativa o narrativa, per ribadire l’importanza di una visione ritmata solo dai segni del suo grafismo materico. La sua aspirazione è evidentemente quella di non lasciarsi irretire da una fascinazione imitativa, ma di delineare un dialogo silenzioso di figure del tutto contemporanee, dal momento che si collocano in uno in spazio strutturato come un’ambientazione concettuale. I suoi personaggi sembrano a volte immersi in un’estasi amorosa, a volte sono compenetrati in luminescenze che ne stemperano la corporeità in pura ombra. Ma se essi si presentano all’osservatore – coinvolgendolo – come se fossero avvolti dall’aura riflessiva di una problematica esistenziale senza soluzione, sconfinante forse nella ricerca metafisica di una verità ultraterrena, d’altro canto le macchie e i tratti astrattamente indecifrabili che li circondano sono i segni di un inconscio già esplorato, la cifra di un linguaggio tutt’altro che inattuale. Non è un caso tuttavia, che nelle più recenti sperimentazioni la figura umana sparisca definitivamente. Restano solo più gli sfondi ruvidi, le superfici graffiate da iscrizioni e segnali, da tracce di presenze che hanno ormai consumato il loro tempo, come se i muri rugosi della memoria li avessero inghiottiti in un vuoto ombroso e protettivo. Qui lo spazio si coniuga in tensioni drammatiche, dove il colore si riduce a puro impasto argilloso, e dove la luce gioca il suo ruolo fra le pieghe della superficie scultorea di un bassorilievo astratto.



Pier Toffoletti: Cromie e contrappunti

Street Art: Le "Gallerie a Cielo Aperto"


di Valeri Tarasov

Arte di strada o arte urbana: si esprime, spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc. Il fenomeno socio-culturale del graffitismo urbano, a trent’anni dalla sua comparsa, ha guadagnato una rilevanza unica sul panorama della creatività  contemporanea influenzando in maniera significativa le arti visive.

La rivoluzione nel campo del graffitismo europeo iniziò a Parigi negli anni ’90, con artisti quali Stak, Andrè, Honet e altri; da quel momento i graffiti influenzeranno la grafica pubblicitaria, le campagne di marketing, il gusto di migliaia di persone.

Intorno al 2000, creativi europei -tra Francia, Inghilterra, Spagna e Italia-, intraprendono un nuovo percorso in cui l'€™esigenza di espressione è orientata soprattutto verso la comunicazione di massa e la partecipazione del pubblico ai propri lavori.

Gli street artists hanno alla base motivazioni differenti; in alcuni casi questa forma d'€™arte è vissuta come forma di sovversione, di critica o anche come tentativo di riappropriarsi degli spazi pubblici ed ‘esterni’ della città . In altri casi viene valorizzata l'eccezionale potenzialità  della street art come opportunità  di esporre le proprie creazioni ad un pubblico “aperto”, molto più numeroso e trasversale di quello di una galleria d’arte o di un museo, dove prevale, spesso, la logica manageriale e commerciale incompatibile con la “spontaneità espositiva” della street art.

Banksy è uno dei maggiori esponenti della street art, il writer più trasgressivo di tutti tempi.

Secondo il Daily mail si chiamerebbe Robert Banks e sarebbe nato a Bristol il 28 luglio 1973, ma la sua identità è carica di mistero tanto da essere soprannominato “l’invisibile”. Questa scelta di “non-rintracciabilità” lo ha comunque portato a diventare uno street artist di fama mondiale; le sue opere -esposte dalla Gran Bretagna alla Palestina- hanno molto incuriosito le grandi testate giornalistiche di tutto il mondo.

Banksy si ispira ai grandi temi politici, sociali, culturali, etici che connotano il mondo contemporaneo. Lo stencil è la tecnica più utilizzata dall’artista, che -grazie alle sue opere- si è diffusa in tutto il mondo, riportando l’icona al centro di questa forma espressiva, ma caricandola di trasgressività e intento provocatorio.

Nel 1998 Banksy organizza un evento senza precedenti: un raduno di graffitari Walls on Fire che per un intero weekend richiamò artisti da tutta Europa. Da quel momento la sua fama nell’ambito del graffitismo europeo si diffonde notevolmente, portandolo a realizzare opere nelle maggiori capitali europee, non solo sui muri delle strade, ma anche nei luoghi meno accessibili come le gabbie dello zoo di Barcellona e di Londra dove, nel recinto dei pinguini, inserì la scritta: “Il pesce ci fa schifo, il posto non ci piace, ci annoiamo a morte”.

Banksy è entrato anche nei musei più importanti del mondo dove ha appeso le sue opere tra le altre già presenti: sono in genere quadri dipinti in perfetto stile settecentesco, in cui l’artista aggiunge alcuni particolari completamente anacronistici che propongono un effetto ironico, inedito e provocatorio (nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc.). È rimasta celebre la Gioconda con il viso giallo che l’artista appese -di nascosto- al Louvre.

Le opere di Banksy propongono, inoltre, messaggi contro la guerra, il capitalismo e il conformismo; i protagonisti sono animali, ma anche poliziotti, soldati, bambini e anziani.

Tra i murales più famosi di Banksy ci sono quelli realizzati nell’agosto del 2005, combinando varie tecniche, sulla Israeli West Bank barrier, il muro di separazione israeliano costruito nei territori della Cisgiordania. Si tratta di veri e propri squarci nel muro, realizzati con la tecnica del trompe l’oeil, che permettono di traguardare e ‘frantumare’ virtualmente la barriera.

In Italia l’artista ha realizzato a Napoli, in via Benedetto Croce, uno stencil, cancellato nel maggio del 2010, che rappresentava una reinterpretazione della Santa Teresa del Bernini raffigurata con in mano delle patatine e un panino, simbolo del consumismo .

Napoli, reinterpretazione della Santa Teresa del BerniniNapoli, reinterpretazione della Santa Teresa del Bernini

A Londra, tra le opere più famose, c’è quella, recentemente rimossa, raffigurante i protagonisti del film di Quentin Tarantino Pulp Fiction che impugnano banane invece di pistole.

Londra, Pulp Fiction
La Londra, Pulp Fiction

La grandezza di questo artista è stata confermata, inoltre, anche dalla mostra che si è tenuta nel 2009 nel Museo di Bristol, visitata da 300 mila spettatori in tre mesi. Un evento che dimostra come le gallerie “a cielo aperto” riconquistano i musei coinvolgendo le masse e basandosi sulla spontaneità e la trasgressione. Evviva Banksy !


Street Art: Le "Gallerie a Cielo Aperto"